FORUM DI ESPERO
Quando un prodotto di qualsiasi natura con caratteristiche di monopolio entra sul mercato, è conveniente per circa l’80% delle persone e, nonostante non abbia un costo eccessivo, viene scelto dal 10% degli interessati è lecito interrogarsi sui motivi che hanno determinato questa situazione.
E’ un dato di fatto che, proseguendo con il ritmo attuale, non sarebbero sufficienti dieci anni per arrivare ad un livello accettabile di adesioni.
Per accelerare il raggiungimento di questo risultato è necessario agire su più versanti, alcuni dei quali già individuati dalla COVIP, che richiedono interventi anche di carattere legislativo.
Tra questi, i più significativi non comporterebbero altro che uno sforzo più culturale che economico.
L’intervento principale è di carattere informativo-formativo.
Su tutti i principali mass-media, con riferimento principale a giornali e televisioni, il tema della previdenza viene affrontato spesso in modo superficiale, alla ricerca della notizia di colore più che con lo scopo di fornire informazione.
Mi rendo conto perfettamente che fa più notizia un calo o una crescita di un giorno se significativa rispetto ad una performance costante spalmata su molti anni, ma ciò che salterà (non ho detto rischia di saltare) è il sistema a ripartizione, insostenibile al raggiungimento del rapporto lavoratori/pensionati 1:1, fenomeno.
Scartate (almeno spero) ipotesi folkloristiche o favolistiche (ho addirittura sentito proposte di ritorno al sistema retributivo elaborate da esponenti di partito che ritenevo seri ed esperti), esiste il rischio, che la previdenza diventi un mare nel quale circolano liberamente gli squali. Per evitare ciò occorrono regole certe, con scarso margine di possibile interpretazione, sanzioni precise a carico degli eventuali trasgressori, non solo, quando necessario, di carattere penale, ma anche attraverso un sistema che impedisca agli incapaci di agire sui mercati.
Va risolta la questione fiscale, allineando i prelievi a quelli degli altri paesi a maggior diffusione dei fondi e magari andando oltre, ragionando sul risparmio sia sulla spesa sia sulle tensioni sociali che scelte diverse avrebbero come conseguenza.
In fondo, anche nel breve periodo, se triplicasse il numero di adesioni complessivo ai fondi, lo stato incasserebbe una somma maggiore all’attuale anche riducendo del 30% la tassazione e quindi anche parti politiche che hanno fatto della riduzione fiscale a tutti i costi la loro bandiera dovrebbero avere un atteggiamento benevolo nei confronti di un progetto di legge siffatto.
Questa riduzione di incidenza del fisco costituirebbe un beneficio esclusivo per gli aderenti e, se adeguatamente pubblicizzata, potrebbe avere un cosiddetto “effetto volàno” sulle iscrizioni.
La riduzione del numero dei fondi è un altro obiettivo che, senza alcun costo si potrebbe attuare a legislazione vigente.
Quindi riduzione del numero complessivo dei fondi, riduzione al 50% del numero di amministratori di qualsiasi titolo e provenienza, partenza immediata di un unico fondo per tutti i pubblici dipendenti (sono oltre 3.500.000) che diventerebbe, non solo in Italia, uno dei fondi maggiori sul mercato.
Tutto ciò non richiederebbe alcuna modifica di carattere legislativo, ma risulterebbe sufficiente la buona volontà delle parti ed il coinvolgimento degli organi di informazione, soprattutto, in prima battuta, di quelli che godono di finanziamenti pubblici per offrire un’informazione seria ed adeguata ai cittadini.
Le modifiche di legge risulterebbero invece necessarie per poter consentire una revisione degli strumenti attraverso i quali operare.
Sempre sul versante legislativo occorre intervenire per spostare sempre più verso la rendita il tipo di prestazione ordinaria dei fondi.
Per realizzare questo aspetto si può agire sotto due profili, da un lato riducendo la quota del 50% prelevabile (facendo coincidere riduzione fiscale sui capitali ed abbassamento della percentuale di liquidazione del capitale) e dall’altro aumentando in misura ancora maggiore il prelievo fiscale per chi dovesse decidere di prelevare una quota maggiore al 30/35% del capitale accumulato.
Queste iniziative sarebbero ampiamente giustificabili, soprattutto se realizzate nell’ambito di un disegno organico di riforma dei fondi e non fossero invece frutto di provvedimenti estemporanei.
Dopo aver cercato di individuare le soluzioni ottimali per estendere la cultura in generale dei fondi, vorrei ora esaminare la situazione particolare del fondo Espero, partendo dalla tipologia di lavoro dei potenziali aderenti.
Se dovessi individuare la “paura” maggiore insita nella categoria del personale docente, non avrei dubbi: il senso di inadeguatezza nello svolgimento di un compito che, sempre più dequalificato sotto il profilo sociale, oggi risulta ancora più pesante, visto l’incremento del differenziale di età tra educatore ed allievo.
Per ovviare a questo problema, occorrerebbe una scelta radicale: ad una determinata età anagrafica bisognerebbe poter abbandonare l’insegnamento. Questa ipotesi non è in contrasto con il generale innalzamento dell’età pensionabile previsto, in quanto sono molteplici i ruoli necessari nella scuola che richiedono alta professionalità e che potrebbero essere ricoperti da personale relativamente anziano, ma esperto.
L’effetto sul fondo sarebbe quello di favorire l’iscrizione, una volta che sia chiaro che, salvo casi molto particolari, prima dell’età pensionabile non si potrà lasciare il lavoro.
Espero dovrà poi contare su un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, che da parte loro dovranno poter contare su operatori fortemente professionalizzati e motivati.
Obiettivamente non posso dire che ciò si sia verificato nella generalità dei casi. Troppo spesso ho notato, nei sindacalisti, due tendenze, opposte ma deleterie entrambe: chi ha ritenuto Espero e la consulenza ai lavoratori come un’ulteriore seccatura da aggiungere alla propria quotidianità, con nel migliore dei casi una elaborazione corretta della simulazione, ma nessuna risposta convincente, alla domanda sulla convenienza dell’interessato, o, all’opposto, altri che, forse eccessivamente motivati, hanno convinto anche ad iscriversi lavoratori che non avevano convenienza all’iscrizione, che dall’adesione ricaveranno una perdita e che, fatalmente, diventeranno i fautori della peggiore pubblicità negativa che il fondo potrebbe avere.
Sia il menefreghismo che l’autolesionismo non fanno sicuramente un buon servizio al fondo.
E’ poi necessario che l’amministrazione statale, a partire dal Ministero dell’ Istruzione Università e Ricerca, si faccia parte diligente nella formazione del proprio personale, spiegando con attenzione quanto sia delicato il problema e quali possono essere le soluzioni corrette per il singolo individuo.
Non è infrequente il caso di persone che si sono rivolte al loro Dirigente o alla loro Segreteria per avere informazioni riguardanti Espero, avendone in cambio, nella migliore delle ipotesi, fumose rassicurazioni sulla convenienza o inviti a consultare il sito di Espero.
Anche Espero deve fare la sua parte: aggiornare le ipotesi di simulazione, magari chiedendo consulenza in merito ai gestori vincitori dei bandi di concorso per l’impiego dei fondi raccolti e che avrebbero tutto l’interesse a dimostrare che i loro risultati di gestione offrono ai lavoratori il massimo di garanzie.