IL DECRETO SOSTEGNI BIS SI TRADUCE NELL’ENNESIMO FLOP – La politica tradisce le attese dei lavoratori della scuola.

IL DECRETO SOSTEGNI BIS SI TRADUCE NELL’ENNESIMO FLOP

La politica tradisce le attese dei lavoratori della scuola

Si accorda, mediando, per trovare soluzioni sulle cose, sui beni materiali, sugli interessi economici, sulla dimensione fisica della scuola, su velleitari percorsi di innovazione metodologica mentre continua a comprimere la spesa per il personale e non trova soluzioni per le legittime aspettative dei lavoratori.

Mentre sul ministero di Viale Trastevere sventola bandiera bianca, nel Suk della politica, nella Commissione Bilancio della Camera, si piantano bandierine di partito in una mediazione al ribasso molto lontana dalla realtà e, soprattutto, dagli interessi e dalle aspettative dei lavoratori precari della scuola. Il sistema scolastico italiano ne esce indebolito più che mai.
Come spesso avviene in questi casi, tutti hanno da rivendicare una presenza, un risultato un obiettivo. La propaganda prende il posto dell’analisi che, al contrario, deve essere lucida e impietosa per spiegare con chiarezza quello che è accaduto.
Ancora una volta sono andate deluse le aspettative del mondo della scuola, sacrificate in un provvedimento ‐ il Sostegni Bis ‐ che ha trovato modo di dare e riconoscere sostegni economici a tutti: dalle macchine usate e da chi ne fa commercio, alla rottamazione dei vecchi apparecchi televisivi, fino al sovvenzionamento delle scuole private (50 milioni aggiuntivi) sempre pronte a chiedere e ricevere prebende statali.
Insomma, la politica si accorda, mediando, trovando soluzioni sulle cose, sui beni materiali, sugli interessi economici, ma non quando deve investire e riconoscere il lavoro e le legittime aspettative dei lavoratori. Un Governo tutto spostato sul materialismo economico e produttivo, che continua a non vedere le persone, ma le cose, misurandole con il metro dell’economia che diventa un’autentica avversione a tutto ciò che non rientra nella produzione economica e nel profitto.
Per la scuola, fatta di persone e di un lavoro basato sulle relazioni umane, entità non misurabili (tanto che il Ministro la vorrebbe “affettuosa”) non si trovano mai né le idee né gli investimenti sulle persone.
Quelle persone, che, noi ci rifiutiamo di considerare capitale umano.
La dimensione economica è il valore aggiunto delle persone che fanno scuola e che determinano anche i vantaggi economici di un moltiplicatore di reddito che la scuola produce nel tempo: è considerazione comune, corroborata da indagini internazionali, che per ogni euro investito se ne ritrovano, nel tempo, almeno tre.
Il Ministro, che è un economista, lo sa bene e prima di ringraziare per il frutto (avvelenato) che il Parlamento gli ha preparato, farebbe meglio a vedere le innumerevoli contraddizioni che dovrà affrontare e risolvere (come se prima di questa norma fosse tutto a posto).
Mentre scriviamo, siamo già a metà luglio, nulla è dato di sapere sull’avvio del nuovo anno scolastico che parte all’insegna delle incertezze e delle contraddizioni vecchie e nuove.
La riformulazione dell’emendamento – atteso dal personale ‐ non è altro che il frutto di una mediazione ideologica lontana dalla realtà che, di fatto, ha ignorato il problema, rinviandolo al prossimo anno con una serie di nuovi concorsi straordinari.
Il solito compromesso al ribasso che non promette nulla di buono se non una serie di ricorsi favoriti da un clima di crescente abbandono della fiducia, già scarsa, da parte dei lavoratori. Ancora una volta, la scuola è stata sacrificata per la stabilità di Governo.
I presupposti sono chiari e si possono rilevare dalle dichiarazioni rilasciate da tutti gli schieramenti. Nessuna di merito, però. Fa eccezione la ex‐ministro Azzolina che, con punto di vista singolare, definisce sanatorie quelle degli altri, mentre assume la paternità dell’emendamento sul sostegno, peraltro di dubbia legittimità costituzionale poiché, al di là del merito, introduce una pericolosa ed inaccettabile discriminazione.
Sarà una sua prerogativa essere sopra le leggi e la Costituzione, ma è la stessa Ragioneria dello Stato a prevedere ricorsi onerosi per le casse erariali. Tradotto in un linguaggio meno burocratico, significa contenzioni perdenti per l’Amministrazione.

A voler leggere il contesto con attenzione le contraddizioni politiche non finiscono qui:
‐ il PD era partito bene, proponendo un emendamento con cui si rivedeva completamente il sistema di reclutamento. Accompagnato da una fase transitoria doveva superare quello dei concorsi, palesemente inadeguato. Poi, incomprensibilmente, si è convertito al sistema dei concorsi riservati. Scelta che ci viene il dubbio sia stata percorsa per compiacere i suoi (sempre più improbabili) alleati di governo.
‐ La Lega, che pur ha centrato l’obiettivo nel merito di sostanziale apertura alla terza fascia, rivendicata da tutti i sindacati, si è trovata invischiata in una maggioranza che l’ha marginalizzata.
‐ Il furore ideologico del M5S ha prevalso nelle decisioni. Una modalità di gestione del dibattito parlamentare che nega ogni confronto, che lo contraddistingue dalla sua nascita ed ha determinato una mediazione che ricalca le medesime scelte politiche del precedente governo, con l’aggravante di un concorso riservato per il sostegno discriminatorio e, dunque incostituzionale.
‐ In questo contesto politico il Ministro decide di non decidere.

A fronte di un quadro così desolante, non possiamo che far emergere la nostra più grande insoddisfazione dopo mesi di intenso dibattito sulla scuola. Ancora una volta, con questo provvedimento, la scuola è stata sostanzialmente lasciata da parte.

Si fanno accordi e poi si ignorano. Si afferma la priorità d’azione per la scuola ma non si prendono misure strutturali. Si riconosce la professionalità del personale ma si lascia nella precarietà. Sono fatti che meritano un’attenta riflessione sull’affidabilità, anche di questo governo, nei confronti del mondo del lavoro.

Nel testo di conversione del decreto sono rimaste le incursioni legislative in materia contrattuale. Non sono stati in grado di recuperare nemmeno una manciata di milioni per dare alle scuole non più sottodimensionate un Ds e un DSGA. Non si è voluto affrontare il problema enorme del personale ATA e dei DSGA facenti funzione ma ciò che più indigna, è la considerazione che mostrano di avere nei confronti di migliaia di persone che, sfruttate per anni, si trovano ora nella condizione di dover espiare una colpa non loro: si dovranno ‐ udite, udite ‐ pagare i costi della presunta carenza di formazione (una tassa sul precariato).

Caso più unico che raro nei paesi cosiddetti civili.

La nostra insoddisfazione è ancora più forte non solo per ciò che hanno potuto pensare (poco) e fare (meno) per il sistema, ma per ciò che potrà ancora succedere. E’ in questo clima che andrebbe rinnovato il contratto nazionale per tutto il personale del comparto scuola.

Anche alla luce degli ultimi accadimenti, si impone una valutazione più complessiva.
Le risorse messe a disposizione attraverso il PNRR, pari a 30.88 miliardi di euro, ad oggi non hanno inciso minimamente sulle politiche scolastiche che continuano a seguire il corso degli ultimi decenni, comprimendo la spesa per il personale analogamente a quanto fatto dai governi di stampo neoliberista nel ventennio berlusconiano.
La scuola al centro delle politiche di sviluppo del paese assume sempre più una dimensione fisica (aule, palestre, mense), spingendosi al più verso velleitari percorsi di innovazione metodologica (digitalizzazione) dell’insegnamento senza il benché minimo coinvolgimento del personale scolastico. Ne emerge, inoltre, inspiegabilmente, un giudizio negativo. In ogni circostanza si continuano ad ostentare politiche di formazione a cui occorrerebbe sottoporlo. Appare sempre più evidente la distanza che separa la politica dalle rivendicazioni delle parti sociali, sempre più disilluse dopo i fatui proclami dei diversi Patti, e sempre più convinte che le diversità di visione siano molto più profonde di quanto si immagini e si spingano ad invadere la sfera ideologica.
Settembre è alle porte e noi riteniamo sia necessario iniziare ad attivare tutte le forme di mobilitazione e dissenso. Sono in gioco la dignità del personale precario, reso suddito e costretto all’umiliazione, ma anche il futuro di tanti ragazzi che avrebbero diritto ad avere docenti motivati e liberi e non un surrogato di animatori eterodiretti e dipendenti da scelte miopi e privi di una visione strategica.

EDITORIALE PINO TURI 12 LUGLIO 2021

La Segreteria Territoriale UIL SCUOLA BRESCIA